Otranto: Baia dei Turchi

 

 

 

Melpignano

 

 

 

Fulvio Marcello Franco 

al "Peccato diVino"

 

 

 

 

 

SALENTO: SOLE, MARE E VENTO

 

Periodicamente le ferie di Marcello ci portano nell’estrema Puglia dove il Nostro ha possenti radici che ogni tanto vanno innaffiate di visite, abbracci e sorrisi. Quest’anno la folgore della nostra venuta è caduta sugli estremi confini orientali della penisola, nella affascinante e turrita Otranto. Purtroppo la nostra storica compagnia è monca di Marco e Titta, indisponibili a luglio, ma rimangono pur sempre tre equipaggi di tutto rispetto, con altrettante chitarre, garanzia di qualche liberatorio ululato alla luna.

Quest’anno la sistemazione della nostra coppia è principesca: in un villaggio ampio e verde, corredato di piscina e spazi da spasso, ci installiamo in un ricco bungalow con ettometri quadrati di giardino personale. Non è propriamente economico, ma come dicono a Milano: lavoro, guadagno, pago, pretendo!

La compagnia è rodata e amalgamata e alterna rinfrescanti momenti di autonomia e libertà a sodali e compatte attività di gruppo; con la lucidissima Paola si risolvono in sinergia i più complessi enigmi settimanali, Moja e Fulvio confrontano le loro assidue letture estive, Marcello telefona in Polonia per lavoro (il suo modo di rilassarsi in ferie), mentre Mariella ci guida (sprona? trascina? deporta?) alla ragionata scoperta delle piccole grandi perle del Salento, fra basiliche e cripte e castelli e frantoi e manifestazioni di degno spessore culturale. Una citazione speciale la merita sicuramente “Odissea” di Mario Perrotta, attore e regista che dà vita e dolorosi accenti ad un Telemaco che impreca contro un padre eroe ma assente, una madre sepolta viva e la crudeltà della piazza, in una rivisitazione greco-leccese di grande coinvolgimento ed impatto di quel grande classico.

L’eclettico Fulvio ci omaggia della sua ultima opera, un romanzo intitolato “No Oil -  il petrolio è finito”, disincantato graffito di una umanità immaginata (?) improvvisamente orfana dell’oro nero e quindi impotente a sopravvivere senza tragiche e disumane trasformazioni. Per il momento però la civiltà (?) è quella che conosciamo, con relativa tecnologia che ha prodotto, ad esempio, il sofisticato orologio waterproof di Fulvio, che - pare - funziona fino a 50 metri (da riva? e più in là?)

La vita al villaggio scorre normalmente tranquilla e ben alimentata (nel senso che il self-service propone una stuzzicante e irresistibile cucina pugliese), eccezion fatta per il ben noto flagello estivo nomato “animazione”: due disinvolti giovanotti e tre deliziose signorine che si esprimono solo attraverso microfoni e amplificazioni, balli di gruppo, quiz dell’aperitivo, gare di tiro a segno, alla fune, freccette, serate “dei più piccini”, corride, battute, scherzi, amorazzi e soprattutto l’ossessivo e onnipresente ritmo dance: u-ppa, u-ppa, u-ppa, u-ppa fino a notte fonda. Certe notti mi capita di mordere il cuscino e sogghignare istericamente sognando i titoli dei giornali locali del giorno dopo: “Una bomba fa saltare in aria animatori e amplificatori di un rinomato villaggio di vacanze. Si presume trattarsi di avvertimento mafioso”…

Tutt’altra musica è invece quella che propone il nostro baldanzoso trio al delizioso e sofisticato ristorante “Peccato diVino” incastonato nella Otranto vecchia, alle spalle della suggestiva mole della cattedrale e gestito da giovani parenti del Nostro. Tre chitarre e tre voci e un repertorio che spazia dal sanguigno blues, al saltellante country, ai cantautori nostrani, ai classici evergreen. Fulvio si siede a destra (da dove, come dice lui, può agevolmente controllare che diavolo fanno le dita di noialtri sulle tastiere delle chitarre), Marcello troneggia al centro ed io, imbracciando l’ultimo acquisto, una leggera ed agile Yamaha dodici corde, gioco all’ala sinistra, spesso in piedi per poter meglio distinguere testi e accordi. Il concerto coglie di sopresa il pubblico fra cui, in prima fila (o meglio, in primo tavolo), spicca una biondina che batte le mani estasiata ai nostri sforzi anglosassoni, unendosi a volte nei cori. Pare si tratti di giovane turista inglese, favorevolmente colpita dall’imprevisto spettacolo. Rimarrà fino alla fine (due ore circa di musica) scattando foto e applaudendo. L’unica cosa che a me un po’ sconcerta sono le sue allegre risate in certi momenti dell’esibizione, magari mentre cantiamo tristi blues o melanconici lamenti di cowboy. Alla fine devo concluderne che le risate non sono cinicamente accoppiate alle struggenti storie che raccontiamo ma, più probabilmente, alla nostra pronuncia, spesso approssimata, a volte un po’ farfugliante, come è naturale che capiti a tre italiani a cui – come Pino Daniele – l’inglese je pesa, je pesa… Ma a parte questo piccolo contrattempo la serata scorre via serena e divertente, per noi e per il caloroso pubblico.

Le giornate passano così, visitando morbide spiagge, raggiungibili al di là di ombrose e suggestive pinete, e recuperando energie per l’inevitabile ritorno ai nostri mondi e monti quotidiani, dopo avere attraversato in lungo e in largo (quasi un fuso orario di differenza!) questa incoerente, incomprensibile, irrinunciabile, bellissima Italia.

 

20/07/2008

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