1) Quinquenne e letale a Pessinetto

2) Io, il Sgt, Mari, Dani, Pat e quadrupede

3) Giò sopra, io sotto  4) pensieroso a Punta Serena

5) verso il Gastaldi

 

 

1) Pian della Mussa  2) Saverio  3) Sergio

4) Pian Ciamarella

 

Santa Cristina

 

 

 

 

 

 

LASSU' SULLE MONTAGNE

 

 

“Su quei monti raccoglievo mirtilli

parlavo coi rospi, tagliavo i noccioli

cacciavo le serpi e ascoltavo i grilli

e là i miei pensieri parlavan da soli...

 

Vedi, è là che ho passato l’estate

Vedi, è là che ho passato l’estate di tanti anni fa.”

 

(“Rimembranze” - F.Nervo, 1974)

 

Valli di Lanzo. La mia residenza estiva dalla nascita al matrimonio. Sì, certo, si andava anche in vacanza al mare, prima in Liguria con zie e cuginette, poi spavaldamente in campeggio con amici (e amiche). Ma il mare non mi ha mai dato il brivido di appartenenza che invece sentivo fra i miei monti. Il mare era apparenza, la montagna sostanza. Il mare era una vetrina di vanità, la montagna un esercizio di autonomia. Il mare, con la sua acqua imbevibile, sembrava non mi garantisse sopravvivenza come invece faceva la montagna con le sue sorgenti e i suoi frutti facilmente conquistabili: more, mirtilli, lamponi, ribes e mele, castagne, funghi. Gli anni sono passati e non ho sempre potuto scegliere le strade da percorrere, ma ancor oggi, quando il muso della mia auto sorpassa Lanzo e comincia a sgranare le pittoresche stazioni ferroviarie della valle (Germagnano, Traves, Losa, Pessinetto, Mezzenile, Ceres) il mio sangue si trasforma in Idrolitina, diventa frizzante e io sento salire un calore e un’emozione sempre uguale. C’è chi dice che è un fattore puramente biologico: è la pressione atmosferica che varia e arreca piacevoli benefìci al mio organismo e al mio sistema circolatorio. Sessè, dicano quello che vogliono: per me è Amore.

Da adolescente non condividevo troppo le scarpinate di gruppo. Qualche volta mi facevo prendere dalla pigrizia e cercavo di snobbare quelle camminate in fila indiana, fra boschi e ciaplé (pietraia, ghiaione), con la borraccia di alluminio, i panini con la pancetta (tagliata sottile, quasi sbriciolata), la tavoletta di cioccolata - o la mattonella di fruttino Zuegg - nello zaino di tela militare. Una volta però, il medico condotto della valle, grande amico di famiglia, mi propose col suo tono brusco e allegro di accompagnarlo l’indomani in una serie di visite che doveva effettuare ai suoi mutuati di alta quota. Senza pensarci dissi di sì e arrivai a procurarmi anche un paio di pedule nuove e adeguate. La camminata, iniziata all’alba, serviva anche a sgranchire i due bracchi del Doc preparandoli alla prossima stagione venatoria. Fu una giornata pesante, faticosa, ma incredibile. Ogni baita visitata dava origine ad una piccola e ruvida cerimonia di accoglienza, offrendo caffè (micidialmente corretto con dinamite, o almeno così parve all’astemio me), vino, toma, polenta o altro. Ogni angolo, ogni pianoro, ogni picco veniva indicato e descritto dalla mia guida. Scoppiò un temporale e ci riparammo a ridosso di un alpeggio chiuso e deserto, stringendoci ai cani. Tornai a casa col buio, esausto e entusiasta.

E’ passato un po’ di tempo, ma qualche passeggiata in Val d’Ala (la valle centrale, fra la Val Grande e la Val di Viù) riesco ancora a farla, complice e promotore l’amico e collega Sergio, molto più costante e coerente di me nell’amore per quelle rocce, fra cui si è ritagliato un piccolo accogliente nido da cui svolazza in ogni stagione, scarponi o sci ai piedi e foto/videocamera al collo. Ovviamente mi unisco a lui solo quando le sue proposte sono compatibili con le mie articolazioni rigide e il mio fiato corto. La valle finisce nell’ampio Pian della Mussa. Senza spingerci fino allo storico rifugio Gastaldi (che d’altronde ho visitato più volte nelle mie vite e gambe precedenti) nei dintorni ci sono tante piccole mete che meritano un paio d’ore di cammino, uno spuntino, magari una paparazzata a vigili marmotte o agili stambecchi, e un ritorno a valle per un pranzo come si deve e una schitarrata fra amici. Oggi la meta è il santuario di Santa Cristina, a picco sopra Ceres, sentinella fra due valli. Tre è il numero perfetto e quindi con me e Sergio c’è anche Saverio (i curiosi possono vedere e leggere di loro qui). I ruoli sono equamente suddivisi: Sergio è il capo, la guida, decide dove si va, quando ci si ferma, quando e cosa fotografare, quando ripartire. Di poche parole, non risparmia però i commenti e la sua disapprovazione per la nostra attrezzatura: la mia, in via di perfezionamento, quella di Saverio in genere minimale e approssimativa, ma anch’essa, a fronte di imperiose sollecitazioni del Capo, in via di (forzata) regolarizzazione. Saverio è positivo, allegro, canterino, comunicativo, infaticabile. Io sono discontinuo: in salita uso il fiato più che altro per ansimare, ma nelle soste e in discesa pontifico, analizzo, chioso, divago, illustro e puntualizzo. Gli argomenti non ci mancano: confronti su ora e allora, il futuro dei nostri ragazzi, come sorridere alla vita, l’elenco delle nostre antipatie, acquisti e scelte tecnologiche, scale di valori, spettacoli e cultura, l’analisi dell’aria che respiriamo, cibi e digestioni e la Musica, passione comune.

Oggi ho ansimato e scricchiolato un po’ più del solito, con visibile soddisfazione dei miei amici (di uno almeno) che sono stati così risparmiati dalla mia logorrea e prosopopea. In realtà era tutta finzione – avevo tutto il fiato che mi serviva e anche di più – ma è stato un astuto stratagemma per convincerli che non sono poi così insopportabile, fastidioso, verboso, inarrestabile, pesante, insostenibile e balzano. Così forse mi invitano ancora a una prossima escursione. Io, lontano da quelle montagne, non riesco proprio a stare.

 

9/11/13

 

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