FAB
            THREE
            Concerto
            To BE or Not To BEatles - Wine Nest - Torino, 19/09/2015
            Si
            sa, i Beatles sono il gruppo perfetto, addirittura “il” gruppo
            musicale per antonomasia. Otto anni di attività discografica, nè
            troppo nè poco; compositori eccelsi, musicisti innovativi, antenne
            sintonizzate sul loro tempo (i “favolosi” anni ’60) e i
            fermenti della società che in parte rispecchiavano e in parte
            anticipavano. Fenomeno musicale, ma anche culturale, di costume;
            rivoluzionari ma rassicuranti; legati alla tradizione ma pronti a
            contaminare e innovare; simpatici, estroversi, ironici,
            intelligenti.
            Ho
            avuto la fortuna (in questo caso la mia età è la mia fortuna) di
            vederli nascere, di vivere in presa diretta il loro fenomeno, la
            nascita del mito, l’isteria dei fans, la gloria, le polemiche, le
            divisioni, lo spappolamento finale. All’epoca mi ero lasciato
            blandamente agganciare dalla fasulla contrapposizione con i cugini
            Rolling Stones ma la mia posizione era sfumata e omnicomprensiva:
            riconoscevo ai Beatles un livello musicale superiore, ma ammettevo
            che gli Stones con pezzi come Satisfaction, The last time, Paint it
            black (niente virgola, please!), 2000 light years from home, Gimme
            shelter, Jumpin’ Jack Flash sapevano darmi emozioni e fremiti più
            forti. D’altronde all’epoca i miei quattro gruppi preferiti
            erano gli Animals di Eric Burdon, gli Yardbirds della sacra triade
            Clapton/Beck/Page, i Them di Van Morrison e lo Spencer Davis Group
            di Stevie Winwood, tutta roba che parla alla pancia e al basso
            ventre, voci nere e solisti sopraffini, mentre i quattro baronetti
            non erano certo dei virtuosi con i loro strumenti (a parte forse
            l’eclettico Paul) ma ti colpivano con la genialità delle loro
            armonie e dei loro arrangiamenti. Volendo estremizzare, di qua
            sangue e muscoli, di là pennelli e fantasia. Ma poi, che bisogno
            c’è di contrapposizioni? Nella Musica, a differenza dello Sport,
            non c’è bisogno di avversari, si può stare tutti dalla stessa
            parte.
            
            E’ assodato che sono un aristotelico, un catalogatore
            enciclopedico: amo scaffali e caselle e titoli e schede e dati e
            sommari e indici e riassunti e elenchi e valutazioni. Con gli anni
            la mia biblioteca musicale si è arricchita di un numero notevole di
            volumi che trattano della musica moderna in generale e dei miei
            artisti preferiti in particolare. A un certo punto mi sono reso
            conto di possedere una trentina di opere dedicate ai Quattro: saggi
            critici, biografie e autobiografie, raccolte di spartiti,
            fotografie, analisi puntigliose (a volte pedanti) delle loro
            canzoni, il diario di ogni giorno passato negli studi di Abbey Road,
            le memorie del loro produttore George Martin, autopsie della loro
            strumentazione, aneddoti, quiz e curiosità.
            In
            un nuovo contesto musicale, incontro questa ragazza (che chiameremo
            Balisa, suo nickname in rete), una generazione più giovane, che
            subito si dichiara fedelissima seguace dei quattro di Liverpool, di
            cui studia maniacalmente arrangiamenti e armonizzazioni.
            Cominciamo così a scambiarci impressioni, confrontare canzoni e
            album, giocare con le mille sfaccettature del gruppo. Siamo
            asimmetrici: io conosco meglio e apprezzo il primo periodo, quello
            dove la band era ancora un gruppo coeso, ma mi fermo dopo Magical
            Mistery Tour; in altre parole snobbo e trascuro quella marmellata
            individualista che è il celebratissimo Album Bianco che non ha mai
            saputo convincermi e colpirmi se non con due pezzi, Tornando in
            Russia e Piangendo con la mia Chitarra: stop. Ho i nove album dei
            Beatles fino al 1967, da lì in poi mi accontento delle loro
            raccolte storiche e dei singoli di maggior successo. Viceversa lei,
            come altri del resto, è padrona di ogni dettaglio delle opere
            conclusive e il confronto fra noi ne esce stimolato.
            La
            mia curiosità si riaccende, riapro spartiti, scopro che alcune
            canzoni che un tempo reputavo troppo difficili da riproporre con la
            mia ridotta abilità chitarristica sono in realtà fattibili e
            coinvolgo la fanciulla, chitarrista e cantautrice che sta
            alacremente reinventandosi come bassista, in tre pezzi durante una
            mia festicciola musicale (la trovate qui).
            L’anno dopo salgo sul palco di un campeggio sardo proponendo in
            solitaria una ventina di brani sotto il titolo “To BE or Not To
            BEatles” (lo trovate qui).
            I distratti e rilassati applausi di un pubblico vacanziero sazio e
            poco esigente non mi illudono sulla approssimativa qualità della
            mia proposta musicale. Epperò i Fab Four continuano a intrigarmi e
            chiamarmi; così, quando i fiduciosi gestori del Wine Nest mi
            propongono una serata a tema, torno alla carica con la bassista
            proponendole il mio repertorio/progetto, ma suggerendo di reclutare
            un’ulteriore voce per dare senso e corpo e spessore ai brani.
            La
            partenza è in salita ed io, rendendomi bruscamente conto dei limiti
            miei e delle aspettative altrui, butto quasi subito la spugna. La
            Balisa però ormai ha annusato odore di Liverpool e non vuole
            rinunciare al suo sogno. Contatta Donata (la trovate qui
            e qui e qui
            e qui e qui
            e qui e qui)
            che accetta di entrare nel progetto. Il tempo a disposizione è
            scarso, l’affiatamento tutto da inventare, il repertorio deve
            superare il controllo qualità, la scaletta viene più volte
            rimaneggiata. Aggiungiamoci le discussioni filosofiche (cos’è una
            cover band? cosa comporta riproporre pezzi altrui? perchè restare
            fedeli all’originale? cosa intendiamo per contaminazione? gli
            uomini son fatti per le regole o le regole per gli uomini? dovere o
            piacere? che chitarra dovrò usare in concerto?) e il tempo prima
            dell’ora zero si assottiglia mentre si allarga il panico e
            l’ansia dei due membri più nevrastenici.
            
             
            
            Bene,
            non voglio tenervi sulle spine. Ieri sera il progetto To
            BE or Not To BEatles ha superato la prova del fuoco davanti a un
            pubblico entusiasta, ancorché pesantemente corrotto e di parte.
            Qualche traballamento c’è stato: qualcuno [... non voglio far
            nomi, si dice il peccato ma non il peccatore (io)] è rimasto
            paralizzato scordandosi l’intro di Something, o ha dimezzato i
            tempi del ponte di Sgt. Pepper, ma nell’insieme tutto è filato
            liscio. Io mi sono tolto la voglia sbrodolando un’interminabile
            sequela di aneddoti, dati, dettagli, informazioni e pettegolezzi
            sulla vita e le opere dei Quattro (non lo farò più). Balisa
            sprizzava (giustamente) soddisfazione da tutti i pori, Donata era
            soddisfatta che il tempo speso nel progetto si fosse alfine
            giustificato e ci fosse ritornato con gli interessi. E siamo stati
            avvicinati da un appassionato spettatore che, dopo gli indiscutibili
            complimenti alle mie partners, ha affermato di essere rimasto
            colpito dalla mia voce. La tecnica strumentale s’impara, diceva,
            ma una voce come la tua è un dono. (wow!)
            Yesterday
            it’s been a hard day’s night but
            we can work it out and I
            feel fine: thank you girls!
            
            
            
    
     
    
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