Franco e "Fast Fingers" Umberto

 

 

Dario fra palette

 

 

Marina e Franco: allegria!

 

 

i solisti: Andrea Rolex e Turbo Miki

 

 

BlueStyle New Version

 

 

 

INDIAN BLUES

 

Gassino - Pub Pocahontas 21/01/11

 

Il Pocahontas Indian Club è uno "splendido localino" (come diceva John Belushi/Jake Blues a proposito del Bob's Country Bunker), dove si mangia (bene), si beve (a volontà), si ascolta (buona) musica, su ruotanti sgabelli e comode poltrone in una cornice di caldo legno chiaro e graffiti pellerossa, attingendo i beveraggi dal bar a forma di scialuppa e dove l'ospitale padrona di casa Anna è sempre pronta ad accogliere musicisti inebriati e inebrianti a partire dal clan Largabanda. Nulla da stupirsi pertanto se anche i poderosi BlueStyle siano stati invitati a dipingere le pareti del locale con il blu della loro musica. La data dell'evento è stata accuratamente stabilita e poi lucidamente spostata a causa dei contemporanei impegni teutonici di lavoro di Marcello e Dario. Il nostro tacito patto infatti è che un concerto dei BlueStyle può anche avere luogo in inevitabile assenza di un componente, da sostituire meglio che si può, ma mai di due.

Immaginate pertanto il mio raccapriccio quando, a tre giorni dall'evento, ricevo una confusa ma drammatica telefonata dal Tarantino: "... Franco, mi hanno preso e non mi lasciano, 'annaggia 'a muorte! ... Andate voi che potete... non pensate a me!..." con sullo sfondo aspre voci imperiose: "Ach! ztaccate incenier Maccio da der telefon! Schnell! Schnell!" A parte l'angoscia per la sorte dell'amico, prigioniero nella sassone Lipsia e strappato agli affetti famigliari e musicali, era evidente che dovevo trovare nel brevissimo tempo concessomi una sia pur dolorosa soluzione. L'ottimo e incorruttibile Davide, già sostituto di lusso (vedasi il 90° Serenata per un amico) non era disponibile e così pure un più che decente, anzi docente, collega del nostro Rolex. Disperato mi rivolsi quindi per consiglio al M° Umberto Cariota, colonna portante e suonante di molteplici formazioni e progetti e alchimie sonore largabandistiche, che con la semplicità e generosità dei grandi mise se stesso a disposizione, sia pure con qualche perplessità sulla difficoltà di impadronirsi nel giro di poche ore di un repertorio vasto e intricato. L'informatica tecnologia, da me spesso vituperata (ma solo per la pochezza dei manuali e delle informazioni che l'accompagnano) mi venne in aiuto, spedendogli i files con la registrazione della maggior parte dei nostri pezzi e confidando nelle sue capacità di assorbimento.

Sostituire il Tarantino con un bassista, però, risolve solo parte del problema, venendo altresì a mancare la sua ugola possente, fondamentale in troppi pezzi della nostra scaletta. Anche qui la soluzione fu trovata nel benemerito Coro Largabanda ed in particolare nel Gruppo B dei contralti, dove puntai e circuii e convinsi (tornò utile l'offerta di una mela...) la puntigliosa ed inossidabile Pretti Woman, anch'essa pronta a raccogliere la sfida usucapendo i brani più swingati e sofisticati, a lei più consoni, quali Sad Old Red, Stormy Monday e My Babe. L'inusuale cambio di genere su quest'ultimo pezzo, che da sempre viene da noi dedicato all'altra metà del cielo, fece sì che a beneficiare della dedica furono stavolta i maschietti ("La mia altra metà del cielo!" puntualizzò orgogliosamente la nostra vestale).

Terza novità sul palco fu l'esordio della mia nuovissima, prestigiosa e sfacciata Gretsch 6120 Nashville. Il risultato sonoro, sempre uguale nonostante l'utilizzo della mia sofisticata pedaliera, mi lasciò un po' perplesso finché non realizzai che avevo scordato di inserire un cavo di collegamento fra l'arancione bellezza e la strabordante serie di pedali e scatolette sonore. I miei due affaticati neuroni a tale scoperta si guardarono sconsolati ma ormai definitivamente rassegnati al loro inarrestabile decadimento.

Bene, come avrete ormai capito dal tono sereno di questo rendiconto, ben diverso dalle ansiogene cronache di analoghe performances, il concerto andrò benone: pur senza nessuna prova il gruppo funzionò alla grande, i nostri nuovi ingaggi a contratto furono encomiabili per impegno e professionalità, Marina gorgheggiò e armonizzò, Umberto spinse e sostenne e svisò funambolico solista su Cantelupe Island fra le occhiate di ammirazione dei bluestylers con contratto a tempo indeterminato; il pubblico, ricco di cari e vecchi amici, fra cui sogghignava un redivivo Luigi Baldasso, co-fondatore della gloriosa sigla (vedasi la storia del gruppo: I BlueStyle) fu caloroso, entusiasta e coinvolto. Nei pezzi finali fu invitata a rinforzare il coro il largabandistico soprano Silvia Dacomo, portando così a sette (numero magico) l'ensemble del gruppo. 

Il sottoscritto voleva omaggiare il locale improvvisando un pezzo di indian-blues, Medicine Man di John Mayall: "C'ho un po' di sfiga di questi tempi - qualcosa che non avevo previsto - ho qualche problema - aiutami come puoi - mi sento fuori fase - per favore, portami dal tuo stregone...", ma sarà per la prossima volta. Perchè al Pocahontas ci torneremo. E vi aspettiamo.

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