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I BlueStyle - Il Cantautore - I Recitals - Chitarre - Parliamo di...

 

David Bowie

 

Ry Cooder

 

Rick Derringer

 

David Gilmour

 

Steve Howe

 

Brian May

 

Ronnie Montrose

 

Franco Nervo

 

Carlos Santana

 

Joe Walsh

 

Ron Wood

 

UNA CLASSE DI CHITARRISTI DI CLASSE

 Marc Bolan. Meteora del rock decadente e del travestitismo, i suoi accordi pieni in stile boogie-shuffle regalarono all’ex-modello in cilindro e lustrini e ai suoi T-Rex due anni di un successo incredibile quanto sconcertante. Al momento della prematura scomparsa (un incidente d’auto) la sua luccicante carriera era solo più un ricordo, ma aveva gettato le basi per il glam-rock del decennio successivo.

 

 David Bowie. Cabaret, mimo, musical, melodramma, tentazioni mod, folk-rock, hard-rock, glam-rock, funky-rock, techno-pop, disco-music, dance-music, negritudine, psichedelia, sinfonie siderali, decadentismo, estetismo, futurismo… lista infinita per il camaleonte del rock!

 

 Mick Box. Per 35 anni leader degli Uriah Heep. “Se questa banda avrà successo, mi suiciderò” affermò un giornalista americano all’uscita del loro primo album. Mick non è certo un virtuoso, ma un onesto e cocciuto produttore di riffs monolitici, che può guardarsi indietro con soddisfazione. (Che fine avrà fatto quel giornalista?)

 

 Tim Buckley. Il perfetto cantante-autore degli anni ’60/’70. Una voce acuta e filante, musica bella e disperata, ai confini della realtà e ben al di là dell’ovvio.

 

 Ry Cooder. Serio studioso di ogni aspetto della musica americana ed eclettico strumentista, ha prestato la sua slide a tutti e di più (Rolling Stones, Little Feat, Taj Mahal, Duane Eddy, Arlo Guthrie) mentre portava avanti una carriera solista di grande qualità. Colonne sonore (“Paris, Texas”, “Crossroads”), contaminazioni etniche, collaborazioni di alto livello, ne fanno oggi un nome universalmente rispettato ed apprezzato.

 

 Dave Davies. Se l’ironico autore dei testi e delle musiche dei Kinks era il fratello Ray, a Dave va l’indiscusso merito di avere creato nel 1964 uno dei primi riff “heavy metal” della storia, quello di “You really got me” ripreso tre lustri dopo dai Van Halen in una rocciosa versione che li catapulterà fra le stelle del rock.

 

 Paco De Lucia. E’ lo sdoganatore della chitarra flamenco dal circuito folkloristico spagnolo per introdurla, grazie ai suoi meriti, al suo virtuosismo, velocità, gusto, alla sua capacità compositiva, al suo dominio del ritmo, a pieno titolo fra la musica contemporanea, pur difendendone lo spirito originale. Un caposcuola e un innovatore.

 

 Rick Derringer. “Ma non c’è competizione su un palco con più chitarristi?” gli chiesero alla Notte delle Chitarre. E lui, dopo una lieve esitazione: “Certo! E cosa c’è di male in un po’ di competizione?” Leader dei McCoys (“Hang On Sloopy”), chitarrista e produttore con entrambi i fratelli Winter, Cindy Lauper, Bette Midler, Kiss, Barbra Streisand, Donald Fagen, è uno dei creatori del Rock come lo conosciamo oggi.

 

 Nico Di Palo. Falsetto e chitarra più famosi d’Italia, Jimi Hendrix che mangia spaghetti al pesto. Il più bravo di tutti, capace di percorrere tutte le tappe: il rock distorto, le contaminazioni classiche (“Concerto Grosso”), il concept album (“Senza orario, senza bandiera” con i testi di De André), il progressive, la fusion.

 

 Don Felder. E’ lui l’autore di “Hotel California”, composta in riva all’oceano con una dodici corde. Nel più famoso pezzo degli Eagles suona tutte le chitarre, escluso l’assolo finale diviso con Joe Walsh. Estromesso (come già Leadon e Meisner) dalla coppia di ferro Henley/Frey per i soliti motivi di leadership. Nulla di nuovo: rivedetevi Lennon contro McCartney, o Brian Jones contro Jagger/Richards.

 

 David Gilmour. Eredita i Pink Floyd dall’amico Syd Barrett, uscito di melone subito dopo il primo album, e da allora è la sua Fender Stratocaster (numero di serie 1) a dilatare gli echi degli incubi del socio Roger Waters. Solista melodico e lirico, a suo merito va la scoperta e l’appoggio ad una giovanissima fatina che risponde al nome di Kate Bush.

 

 Arlo Guthrie. Figlio d’arte e come tale amico e frequentatore dei grandi nomi del circuito folk newyorkese da cui ha tratto idee e ispirazioni. Apparentemente dolce e trasognato, in realtà ha fatto sue le provocazioni dell’illustre genitore (che aveva scritto sulla chitarra: “questa è una macchina ammazza-fascisti”) e le sue storie in musica sono spesso ironicamente polemiche e controcorrente.

 

 Steve Howe. Eclettico e virtuoso, padroneggia rock e jazz, classica e country, passando da un uso misto plettro-dita al finger-picking. Gli Yes decollano con il suo arrivo e l’assolo acustico di “The Clap” è il suo marchio di fabbrica, riproposto ancor oggi come un classico.

 

 Lenny Kaye. E’ il chitarrista di Patti Smith. Ma è forse fin più noto come esperto e ricercatore, produttore di una storica antologia del proto-punk, “Nuggets”, e autore di trattati e biografie musicali.

 

 Bernie Leadon. Polistrumentista (ottimo banjoista) dopo la militanza con i Poco e i Flying Burrito Brothers, fonda e firma i primi grandi successi degli Eagles ed in particolare l’affresco country/bluegrass di “Desperado”.

 

 Steve Marriott. Viso d’angelo e voce rauca e potente, dagli Small Faces agli Humble Pye, Marriott si è distinto come cantante, compositore e solido chitarrista ritmico su cui si appoggiavano i suoi solisti (Frampton, Clempson). Un percorso che, dal beat progressivo dei primi anni condito di psichedelia, matura in un rock intenso e grintoso.

 

 Brian May. Soprannominato “Il Cavaliere della Regina”, “Sua Altezza del Rock” o “Licks & Locks (traducibile a un dipresso “Fraseggi & Riccioli”), giocando di volta in volta sul nome del suo gruppo, sulla sua altezza, sul suo stile e il suo aspetto, è una leggenda del rock, tanto eccitante come musicista, quanto discreto e modesto come persona. Si ostina a suonare la chitarra costruita da ragazzo con suo padre usando molle di bicicletta e le vecchie assi di un antico camino. Lo amiamo anche per questo.

 

 Jim Messina. Produttore e bassista con i Buffalo Springfield, torna alla chitarra con i Poco e nel duo country/rock con Kenny Loggins. Chitarrista raffinato e ispirato songwriter. (Si sussurra abbia origini italiane.)

 

 Ronnie Montrose. L’etichetta di metallaro gli va strettissima, pur derivando da uno storico e incandescente album che presentava alla voce un giovane e arrabbiato Sammy Hagar che Eddie Van Halen – grande ammiratore di Montrose – vorrà con sé anni dopo. Ronnie è a suo agio col blues, jazz, fusion e non disdegna di prendere una canzone popolare e trasformarla in uno strumentale strappabudella.

 

 Franco Mussida. Francone per gli amici. Grande professionista, insegnante e divulgatore, da sempre legato al progetto P.F.M. col quale stava per sfondare persino in America. Non è mancata l’abilità e la bravura, semmai il mannaggement che non seppe osare.

 

 Franco Nervo. Sempre in bilico fra l’identità di scrittore e quella di musicista, si cimenta in diversi generi musicali: blues, folk inglese, country & western, strumentali, colonne sonore, composizioni originali, covers pop/rock, traduzioni e versioni dall’inglese. Fondatore dei FunKtion e dei BlueStyle, membro dei Red Fox, dei Catweasle e del Coro Largabanda (alè, esageriamo!).

 

 Mick Ronson. Fedele scudiero del Duca Bianco, spalla musicale e coreografica (le provocatorie leccate alle chitarre nei concerti del 1972), finito il periodo “marziano” cerca se stesso e si trova al di là dell’Atlantico, condividendo lo sgangherata ed esaltante Rolling Thunder Revue di Dylan e McGuinn, al cui fianco resterà come produttore e turnista.

 

 Carlos Santana. “Quanti chitarristi sarebbero riconosciuti dalla loro mamma se accendesse la radio in quel momento?” Il suo suono inconfondibile, dal lungo sustain, gli è ispirato da Peter Green e dal suo strumentale “Supernatural”. Ama dire: “Il pubblico sono i fiori, la musica è l’acqua, il musicista è l’innaffiatoio”.

 

 Tim Schmit. Bassista dei Poco e poi degli Eagles, quello con l’aria da pellerossa. Autore, cantante e corista: sono forse mille le canzoni registrate con la sua voce acuta e vibrante.

 

 Tom Scholz. Quando si parla di “tecnica” riferendosi a un chitarrista, si parla della sua abilità musicale. Scholz però è anche un creativo tecnico elettronico che si diletta a costruire preamplificatori ed effetti che poi sintetizzerà in quella scatoletta nera e azzurra chiamata Rockman che diventerà lo stato dell’arte a metà anni ‘80. I Boston nascono in provetta nel suo laboratorio, dai suoi appunti sonori e godono della sua abilità in studio nel sovrapporre parti di chitarre e voci.

 

 Kim Simmonds. Ci aveva colpito la copertina di “Looking In”: uno gnomo sgraziato che sbirciava inquieto nell’orbita vuota di un enorme teschio. I Savoy Brown sbirciavano nel repertorio blues dei grandi Padri Neri e lo riproponevano con grinta e fantasia, creando atmosfere aspre e fumose, inseguendo gli assoli sofferti del loro leader, Kim, appunto.

 

 Joe Walsh. Simpatico personaggio dal piglio guascone, la smorfia di Braccio Di Ferro e la chitarra al fulmicotone da cui spesso trae sonorità inconsuete: indimenticabile il suo uso del talk-box che rende la chitarra “parlante”. Dopo il trio della James Gang e i lavori solisti, inserisce la sua chitarra dura e diretta nel suono più morbido e rarefatto degli Eagles. Il risultato si chiama “Hotel California”.

 

John Weider. Quando Eric Burdon nel 1967 rifonda gli Animals è lui la punta di diamante della formazione. Chitarrista, bassista e violinista aggiungerà colori inusuali per l'epoca e resterà famosa la versione di "Paint It Black" proposta al festival di Monterey.

 

 Bob Weir. Il tappeto ritmico su cui Jerry Garcia tesse le visioni oniriche del Morto Riconoscente. Testimone e protagonista di una stagione musicale irripetibile.

 

 Ron Wood. The New Boy, l’ultimo arrivato. Non ha il tocco bluesy, lirico, del suo predecessore Mick Taylor, ma è perfetto per ricominciare il gioco preferito di Keith Richards, “l’antica arte dell’intreccio”: lo scambio, sovrapposizione, appoggio reciproco di due chitarre non più suddivise fra “ritmica” e “solista”. E poi sa un sacco di barzellette!

 

 Warren Zevon. Cantautore dai toni neri, acri, sarcastici, paradossali. Scompare due anni fa per un cancro ai polmoni, ma prima fa in tempo a concepire, annunciare e incidere un album-testamento accompagnato da amici come Jackson Browne, Ry Cooder, Bruce Springsteen, Emmylou Harris, Tom Petty. “Non voglio scappare dalla vita; ciò che voglio fare finché sono vivo è scrivere musica e fare dischi.” Un epitaffio che molti in questa pagina potrebbero fare proprio.

 

 * * *

1) Che ci fa Franco Nervo in questa lista? Indovinato? Sì, sono tutti suoi coetanei. Bella classe, vero?

2) Nella classe accanto, femminile, c’erano Emmylou Harris, Laura Nyro e Stevie Nicks, la bionda cantante dei Fleetwood Mac. Eravamo tutti innamorati di lei. Meno Bowie, ovviamente.

 

Emmylou Harris

Laura Nyro

Stevie Nicks