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Brian Auger & Julie "Jools" Driscoll

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

BRIAN AUGER'S OBLIVION EXPRESS: OBLIO MAI OBLIATO

concerto al Chico Mendes di Borgaro - 7/6/2006 

 

“Solo in Itaglia suciede questo!”

La battuta mi fa tornare indietro di vent’anni, quando avevo incontrato Brian Auger in un piccolo pub di Rivoli e ne avevo apprezzato lo spirito ironico, la disponibilità, l’ottimo italiano (la moglie è di Cagliari e lui è ormai capace di recitare poesie in dialetto sardo, sia pure con accento londinese!) e, naturalmente, la sua straordinaria perizia sulle tastiere.

Brian Auger nasce nel 1939 ed esplode poco più che ventenne, vincitore di un referendum del Melody Maker come tastierista più promettente. Tralasciato il piano per le calde timbriche dell’organo Hammond B3, ne diventa l’indiscusso alfiere, superando in una successiva classifica americana perfino il grande Jimmy Smith, che per primo aveva definito le caratteristiche timbriche dello strumento per destinarlo ad un marcato ruolo solista.

Brian però raggiunge il grosso pubblico coniugando jazz e pop, jazz e soul, jazz e funky, prima nel gruppo degli Steampacket che annoveravano alla voce Rod Stewart, Long John Baldry e una acerba ma già splendida Julie Driscoll, e poi, sempre per la voce di “Jools”, nei Trinity. E’ il 1967 ed entrano prepotentemente in classifica con Save me e con le covers di Dylan e Donovan This wheel’s on fire e Season of the witch. Insieme pubblicheranno nel 1968 il doppio Streetnoise e dieci anni dopo Encore. Da solo, Brian fa uscire una serie di album per lo più strumentali, i primi come Trinity (Definitely What!, il mio preferito, e Befour) fondando poi gli Oblivion Express, per una svolta più fusion e progressive.

Ed è sotto questa sigla che me lo ritrovo di nuovo alle porte di casa, indomito sessantacinquenne, patriarcalmente accompagnato dai figli Savannah Grace alla voce e Karma alla batteria, con il biondo e prestante Andreas Geck al basso.

Brian Auger ha serenamente ammesso che gli anni ’80 gli sono passati accanto senza rendergli omaggio (pur se io mi precipitavo a comprare Search Party, Here and Now e Planet Earth Calling...), ma che lui ha sempre preferito continuare a fare la propria musica senza voler diventare schiavo delle mode. Poiché il tempo è galantuomo, un decennio più tardi lo riscopre gente del calibro di Galliano, Jamiroquai, Incognito e Brand New Heavies; diventa lui la moda, nei suoni e nello stile, e viene copiato, campionato, osannato e definito il "Padrino dell'acid-jazz". 

Mettiamoci quindi comodi e godiamoci il concerto di questo grande musicista.

 

La formula “trio più voce” è quella che gli è più congeniale, il suo marchio di fabbrica. Le dita di Brian scivolano come farfalle impazzite (Butterfly, del suo amico Herbie Hancock, è un pezzo in scaletta) sulle due tastiere dell’Hammond e su quella del piano elettrico Korg, fornendo ogni gorgogliante accompagnamento ed ogni liquido e vertiginoso assolo, sulla compatta ritmica del basso e dell’eccellente drumming di Karma, sofisticato e perfetto in ogni passaggio. Savannah (bionda, slanciata, sinuosa, un po’ algida) ha una bella voce, cool, molto bene impostata, ma ha lo svantaggio che in quel repertorio la nostra testa la confronta inevitabilmente con Julie Driscoll e – solo per questo – la sua è una battaglia persa in partenza.

Il repertorio spazia su trent’anni di carriera, da Straight Ahead a Freedom Jazz Dance, con le covers di Light my fire (Doors) ed una onirica Bumpin’ on Sunset di Wes Montgomery. Ma il pezzo più scintillante è Indian Rope Man – L’uomo della canapa indiana, di Richie Havens, in cui ogni componente si lancia in un suo assolo fuori da ogni limite.

A legare il tutto l’ironica, stupefatta voce di Brian che, col suo accento anglosassone, ci tratta da vecchi amici.

“La prima volta che venni in Italia, a sedici anni, in bicicletta e mangiavo gli spagheti col coltello…”

“Fa troppo freddo stassera! Dico: è giugno, no?”

Alludendo al suo storico organo Hammond, tutto leve, rotelle e cursori: “Grande tecnologia a vapore!”

Alla fine, in ricordo della bella serata e del formidabile concerto, noi compreremo il dvd Live at the Baked Potato, preferendolo all'ultimo lavoro in studio Lookin' In The Eye Of The World (Nasty Production - 2005) rivolgendoci a “… Sir Marmaduke Von Ribbentropp, un eccientrico migliardario che ama guidare il nostro bus e gestire il nostro banchetto. Siete veramente gentili. Solo in Itaglia suciede questo!”