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Oggi parliamo di...

I BlueStyle - Il Cantautore - I Recitals - Chitarre - Parliamo di...

 

 

Tracklist:

  1. So tired

  2. Say what you will

  3. I'm going left"

  4. Love don't love nobody

  5. Revolution

  6. Love comes to everyone

  7. Lost and found

  8. Piece of my heart

  9. One day 

10. One track mind

11. Run home to me

12. Back home"

 

 

 

 

YARDBIRDS: Clapton è il 2° da sinistra

 

 

CREAM: Bruce, Baker, Clapton

 

 

Eric "Derek"

 

ERIC CLAPTON - Back Home

(REPRISE, 2005)

 

Che fatica decidermi! Eric Clapton è stato per così tanti anni il mio musicista e chitarrista preferito che, da quando ho aperto questo sito, mi sono costantemente interrogato su come celebrarlo, recensendo uno dei suoi ultimi album, oppure uno dei suoi capolavori live (Just One Night del 1980, o l'Unplugged del 1992)  oppure con una scheda dedicata all'intera carriera. Alla fine, e solo per stanchezza, ho deciso per la sua opera più recente, ma ovviamente con l'intenzione di fare confronti e aprire vecchi cassetti.

 

Pat Clapton ha sedici anni quando rimane incinta di un aviatore canadese - sposato - di stanza in Inghilterra alla fine della II Guerra Mondiale, che la lascia subito dopo. Poco più che una bambina, affida il bimbo ai nonni e se ne va di casa. Eric rimane segnato dalle sue origini e dalla sua fanciullezza, che lui non definì mai difficile ma che disegnò ombre e insicurezze nel suo carattere schivo, melanconico, con una grande voglia di rivalsa verso il mondo per cui era un "bastardo". A metà anni '60 già si scriveva sui muri di Londra "Clapton is God - è Dio" come testimonia una spiritosa foto diventata famosa. Il piccolo, gracile, introverso Eric ce l'aveva fatta.

 

Nel 1963 Eric entra negli Yardbirds, gruppo che gli permette di suonare il suo amato blues con vigore e grinta. Li lascia due anni dopo non condividendo la loro svolta pop, subito dopo avere inciso il loro primo grande successo For Your Love. Lo sostituiscono prima Jeff Beck e poi Jimmy Page e scusate se è poco!

Nel 1966 è alla corte di John Mayall, grande alfiere del blues inglese. L'album che incidono insieme è l'unico in cui al chitarrista compete l'onore di avere il nome in copertina assieme al leader. In una delle tante formazioni dei Bluesbreakers di Mayall suona con Jack Bruce, bassista e cantante, con cui lega subito. Quando il batterista Ginger Baker gli propone di formare un trio di virtuosi, i Cream, lui pretende l'ingresso di Bruce, fregandosene della ben nota inimicizia fra Ginger e Jack. Il nuovo gruppo esplode con sonorità piene, grintose, assoli dilatati, alti volumi e strumenti distorti gettando le basi del rock-blues e dell'hard (tanto per affidarci alle etichette dei generi). Con album come Fresh Cream, Disraeli Gears e Wheels of Fire il successo è mondiale, ma il ventitreenne Clapton ne rimane schiacciato. Stufo di fare da arbitro nelle risse dei suoi due compagni, nel 1969 si chiama fuori e i Cream si sciolgono.

Dopo la breve e deludente parentesi dei Blind Faith, con il tastierista/cantante Stevie Winwood, ex-Traffic, ex-Spencer Davis Group, cerca di sfuggire al peso della fama collaborando con un duo americano, Delaney & Bonnie, marito e moglie. Sono loro a convincerlo a proporsi come solista, cantando egli stesso le sue canzoni.

Ancora indeciso su quale strada seguire, realizza un paio di album sotto il trasparente nome di Derek and The Dominoes (ma la casa discografica, temendo che i fans siano tutti cretini, appiccica sul disco un adesivo: "Derek è Eric!") in cui, con l'eccellente chitarrista Duane Allman dei Fratelli omonimi, crea il suo capolavoro Layla, straziante grido d'amore a Patti Boyd, che al momento è la moglie del suo amico George Harrison (l'assolo in When My Guitar Gently Weeps dei Beatles era di Eric, anche se all'epoca pochi lo sapevano) con cui collabora al Concerto per il Bangla Desh.

Nel 1972 esce finalmente Eric Clapton, primo album solista, con la trascinante cover di J.J.Cale  After Midnight.

Poi, il lungo buio della droga che lo tiene lontano dalle scene. E' Pete Townshend, il nasuto chitarrista dei Who, a farlo risalire su un palco organizzandogli il Rainbow Concert.

Nel 1974, disintossicato, Eric fa uscire 461 Ocean Boulevard, rilassata immagine di un musicista in pace con se stesso, trasferito in California e attorniato da un gruppo tutto americano. Da allora Clapton incide decine di album all'insegna di un rock a volte melodico, a volte grintoso e intenso, ma ricordandosi sempre di essere soprattutto un bluesman. Fra tutti ricordiamo Slowhand del 1977 ("Manolenta" il suo soprannome, di origine incerta: forse per la diteggiatura solista rilassata, o perché ci metteva una vita a cambiare le corde alla chitarra, o ancora come parafrasi dell'espressione "slow hand clap" riferita al battimani lento e scandito) con la deliziosa e dolcissima Wonderful Tonight dedicata ancora a Patti, ora sua moglie; il già citato live registrato in Giappone Just One Night, con il virtuoso chitarrista country Albert Lee spalla di lusso; Money & Cigarettes (1983) con la collaborazione di Ry Cooder e la grintosa autobiografica Ain't goin' down. La collaborazione con Phil Collins (Genesis) frutta i discussi Behind the Sun (1985) con la vibrante Forever Man e August (1986) dedicato al figlioletto Conor avuto da Lori Del Santo e destinato ad una tragica morte accidentale, che Eric piangerà nella ballata Tears in Heaven (1992).

Sazio di soft-rock, nell'ultimo decennio incide ben tre album di riscoperta del blues: From The Cradle (1994), Riding with the King (2000) con il settantacinquenne veterano B.B. King  e Me & Mr. Johnson (2004), dedicato al padre del blues Robert Johnson.

Ricordo ancora Pilgrim (1998), a mio parere riuscito esperimento che combina ritmi elettronici e il fraseggio morbido ed emozionante della sua Stratocaster.

 

Fra i video vi suggerisco un qualunque concerto degli anni '80 e il recente Crossroads, festival di chitarristi organizzato da Clapton nel 2004 a Dallas per raccogliere fondi per il centro da lui fondato ad Antigua per combattere l'alcolismo (di cui lui stesso è stato dipendente) e a cui ha destinato il ricavato della vendita di molte sue chitarre messe all'asta in questa occasione.

 

Ed eccoci a questo Back Home (2005), sereno ritorno a casa di un sessantenne che ormai non ha più nulla da dimostrare, ma ha solo voglia di suonare e divertirsi con una manciata di canzoni gradevoli e bene eseguite, dove a farla da padrone è il soul, il rhythm 'n' blues, cori femminili e fiati. Fra tutte spiccano So Tired, che apre l'album con allegria; il reggae di Revolution; l'omaggio a George Harrison con la meno nota Love comes to everyone; il poderoso blues di Lost and Found; One Day, intensa ballata scritta dal chitarrista country Vince Gill.

Presenza importante nell'album è Simon Climie, co-produttore, tastierista e coautore di cinque brani, al fianco di Clapton sin dai tempi di Pilgrim. Gli altri musicisti sono il chitarrista mancino Doyle Bramhall II, i tastieristi Billy Preston (già ragazzo prodigio con i Beatles di Let it Be), Steve Winwood e Chris Stainton; Steve Gadd alle percussioni; Pino Palladino e Nathan East al basso; il chitarrista Andy Fairweather Low.

Un buon album di un grande musicista. Il migliore.